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venerdì 29 novembre 2013

Il paese muore


Il paese muore. I giovani fuggono, i negozi chiudono, le aziende falliscono. Si legge solo tristezza e rassegnazione negli occhi dei genitori, che si chiedono dove abbiamo sbagliato? Che strada abbiamo intrapreso per essere oggi a questo punto? Chi ci ha ingannati? Ci siamo illusi da soli?

Il paese muore. Le coppie non si sposano e non pensano di avere bambini, perché costano. Viviamo seguendo ciecamente i dettami dell'economia, dello spread, della finanza. E cominciamo a credere in quest'unico Dio. Lo stesso Dio denaro che ci ha portato alla rovina, oggi è osannato più che mai. Studiamo per avere un lavoro che ci farà fare soldi, andiamo alla ricerca della fortuna che ci renderà ricchi, leghiamo i nostri sentimenti più belli al possesso e alla conquista, poniamo come fondamento dello sviluppo la supremazia nei confronti degli altri e lavoriamo cercando di avere sempre di più, di più, di più. Poco importa delle regole, poco importa della morale, della buona educazione o della nostra comunità. Non ci interessa cosa fanno gli altri, come vivono gli altri, se stanno bene gli altri. In fondo questi “altri”, voi li avete mai conosciuti di persona? Ci freghiamo, ci inganniamo, tessiamo trappole degne di un conflitto militare. Sviluppiamo reti di spionaggio, armi di precisione e collegamenti ben camuffati che si sviluppano in un intricato sistema di tunnel e gallerie, che portano pochi, pochissimi, ad un’unica conclusione: "mi sono sistemato".

Il paese muore e nessuno intende fare un passo indietro. Nessuno vuole perdere anche solo un granello dei suoi privilegi. Non si cerca il contatto con la gente. Anzi se ne predilige l’allontanamento. Nessuno tende l'orecchio per cercare di sentire o di capire. Quei pochi che lo fanno non odono nulla se non echi e rimbombi in lontananza. Sentono voci ovattate e deboli lamenti. Stanchi di non riuscire a decifrarli li ignorano, etichettandoli come “roba di poco conto”. Questo perché hanno le orecchie colme di denaro e ricchezze.

Il paese muore e noi giovani stiamo a guardare. Continuiamo a sognare un futuro migliore, ma senza la minima intenzione di sporcarci le mani. Siamo imbambolati di fronte ai programmi Tv, a internet e ai nostri gadget elettronici. Tifiamo per il nuovo, per il cambiamento e per una rivoluzione che scuota la terra dalle sue fondamenta, ma solo se sono gli altri a portarla avanti. Perché tutto sommato bisogna ringraziare, quest'anno ci hanno solo tagliato il rimborso regionale.

Il paese muore. Soffocato dall'ipocrisia. Muore sotto i colpi di chi parla di luce in fondo al tunnel, di chi dice “andatevene che qua non c’è speranza”. Si strugge a causa dei colpi inflitti da chi vuole sfruttare solo la pancia della gente e poco la testa. Muore ogni volta che il pazzo di turno urla “stato ladro” solleticando idee che appartengono ad un mondo finito e condannato per le sue brutalità. Il paese muore ogni volta che si parla di Berlusconi e non della ricerca d’eccellenza italiana, muore ogni volta che un muro di Pompei crolla mentre in aula ci si insulta sulla diaria, muore ogni volta che si parla di calcio al posto che di cultura, ogni volta che un giovane, innamorato di questo paese, decide di mollare tutto perché accendendo la tv non vede altro se non un paese vecchio, immobile e restio al cambiamento. 

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