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martedì 19 novembre 2013

La metafisica dei ritardi

L'inizio della mia vita da pendolare ha coinciso con il primo anno di università. All'inizio tutto sembrava bello, forse un po' folle e fuori dall'ordinario, ma comunque più che accettabile. I ritardi quasi non si sentivano, perché erano buoni momenti per socializzare. In fondo ci si divertiva a prendere in giro le ferrovie e il modo di fare tutto all'italiana e così i minuti persi scivolano via con leggerezza, come sabbia tra le dita. Quando, però, il ritardo ha cominciato a prendere una piega endemica il sistema, o meglio io, non ho più retto. Quello che sarebbe dovuto essere un'eccezione diventò la regola e a me non andava giù.
Così io ed i miei compagni, studenti alle prime armi, cominciammo a capire cosa signifcasse davvero essere un pendolare. Giorno dopo giorno anche in noi si svegliò quel sentimento di rabbia, misto a frustrazione e stress che cominciammo a chiamare odio. La giornata, scandita dagli orari dei treni mai rispettati, diventava pesante e grigia. Inoltre la pessima qualità del servizio e l'assoluto menefreghismo verso qualsiasi forma di miglioramento non migliorava certo la situazione. Tuttavia conclusasi la mia esperienza triennale all'università e rimandando a data da definirsi l'iscrizione ad una specialistica, mi sentii finalmente liberato dall'opprimente senso d'angoscia che tutte le mattine mi svegliava e che mi martellava la mente con il solito dubbio:"sarà mica in ritardo il treno?". Potrà anche sembrare assurdo, ma la mia non iscrizione ad una specialistica fu maggiormente dettata dalla non voglia di ricominciare la solita vitaccia. Non ero tanto indeciso (si anche, ma non maggiormente) sul cosa studiare o in che facoltà iscrivermi, piuttosto ero intimorito sul "come diavolo avrei fatto ad arrivarci, all'università". Secondo la mia modesta opinione, non è tanto la bassa qualità dell'offerta formativa a tenere lontano i ragazzi dai corsi di laurea (alla faccia di quelli che dicono che ci sono troppi laureati in italia link), è piuttosto la difficoltà a raggiungere il luogo preposto per la lezione il vero dilemma. E' sufficiente pensare alle numerose dislocazioni dei vari dipartimenti. Un'aula qui, un'altra là, una su ed una giù. E gli studenti, considerati più dei maratoneti che dei veri professionisti dello studio, si buttano a capofitto in una vera e propria sfida: "Arriverò in ritardo alla lezione?".  A tale problema non si propone alcun tipo di risposta, anche solo parziale. E se prima della crisi si riusciva in un modo o nell'altro a sopperire a tale complicazione tramite borse di studio, residenze universitarie ma più in generale grazie a "genitori, gran lavoratori, che aiutavano abbondantemente i figli", ora tutto ciò non esiste più. Al ritardo si aggiunge altro ritardo. Non sono solo i treni a non partire in orario e non sono solo gli studenti a sperare d'arrivare in tempo alla lezione. Sono le stesse università a non essere in grado di cogliere il flusso di studenti in arrivo, non offrendo loro servizi adeguati e fisicamente accessibili. A tutto ciò, si aggiunge anche la cecità degli amministratori. Essi permettono il realizzarsi di opere monumentali e "made in U.S.A.", come il nuovo campus di scienze politiche a Torino, ignorando totalmente tutto ciò che le circonda. Aule minuscole degli altri corsi di laurea, la difficoltà a raggiungere lo stesso campus, i ritardi dei trasporti pubblici e la loro pessima qualità, il costo dei libri, delle tasse etc... Il valore e l'accessibilità della didattica vengono soffocate in nome della bella presenza e dell'ipocrisia. L'importante è apparire al passo con l'Europa, è importante poter dire "anche noi abbiamo università all'avanguardia" oppure "anche noi abbiamo il tablet a scuola". Poco importa se le scuole cadono a pezzi e si svuotano, poco importa se i corsi di laurea vengono abbandonati e chi davvero vuole studiare fugge all'estero, senza tornare in un paese che non intende offrirgli alcun futuro. Poco importa se qui fanno successo solo i Checco Zalone di turno uniti all'esaltazione dell'ignoranza, se le baby squillo sono all'ordine dei giorno e se i valori sono ormai stati seppelliti da decenni di pessima politica. 
Tutto questo è colpa dei ritardi dei treni? Certo che no. Anzi, parzialmente si, ma è sopratutto colpa di chi, nonostante i ritardi, i treni continua a prenderli senza porsi alcun dubbio e limitandosi ad esprimere rabbia e frustrazione nei confronti del controllore di turno, dimostrandosi così più in ritardo dei treni stessi. 

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