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martedì 14 gennaio 2014

Sharon, un lupo tra i lupi


La morte del “Re d’Israele” ha colto di sorpresa tutti, in maniera diversa a seconda della propria fede, nazionalità e schieramento politico. Ecco cosa ne penso.

La morte di Ariel Sharon, sopraggiunta un paio di giorni fa dopo otto anni di coma, è una di quelle notizie che mi stuzzicano tanto, ma che mi preoccupa trattare. Soprattutto a causa del delicato e complesso mondo all'interno del quale tale informazione è inserita. Tuttavia dopo aver letto molti stati su diversi social network ho deciso di spingermi oltre il semplice commento. C’era chi applaudiva la dipartita dell’anziano leader e chi invece si rattristava al solo pensiero che il Re d’Israele, come veniva chiamato, non ci fosse più. Fino a qui nulla di straordinario.

Insomma Sharon fu un uomo politico forte e deciso e come tutte le cose forti e decise attirò a sé, da un lato il disappunto di chi non condivideva il suo operato e dall'altro l’ammirazione di chi invece era in totale accordo con lui. Personalmente non riesco a essere così tagliente e sentenzioso riguardo un tale avvenimento, in particolare perché Sharon è riuscito, nel bene e nel male, a fare la storia di uno dei più discussi Stati del mondo. Questo però non vuol dire che io non abbia una mia opinione, solo che preferisco darle un background culturale, una sorta di base ideologica che per lo meno ammetto di avere. Vengo da una famiglia cristiano maronita libanese, mio padre combatte durante tutta la guerra civile che coinvolse il mio paese dal 1975 alla fine degli anni ’80 e mia madre, beh, lei fece ciò che poteva, cioè restare in vita. Io sono nato in Italia ed ho sempre vissuto qui, ma l’influenza dei miei e della loro cultura è molto forte in me e spesso e volentieri mi spinge oltre il normale ragionamento all'occidentale, indipendentemente che questo piaccia o no. Quindi una notizia come la dipartita di un uomo che, in un modo o nell'altro, partecipò alla costruzione e alla disfatta del mio paese e del gruppo politico religioso di cui indirettamente faccio parte, non può che suscitare in me emozioni ed idee contrastanti. Ciò nonostante vorrei procedere con ordine ed approfondire un paio di punti.

Etichettare. Innanzitutto credo che sia sbagliato etichettare Ariel Sharon come un omicida ed un dittatore spietato. Voglio dire, non stiamo parlando di un Hitler o di uno Stalin moderno e non solo perché a proteggerlo ci sia lo stato d’Israele ed indirettamente gli Stati Uniti, cioè paesi tendenzialmente democratici. Ma anche e soprattutto perché lo scenario mediorientale, nel quale personaggi come quello citato si sono trovati ad operare, è così complesso e particolare che mal si presta ad etichettature di alcun tipo. Ridurre ai minimi termini l’esistenza di un personaggio storico fa comodo a coloro che, infischiandosene dei contenuti, puntano ad un facile consenso, infiocchettando il tutto con un titolo pieno di ideologia e qualunquismo, ma poverissimo di realtà. Se invece si facesse lo sforzo di scavare un po' più a fondo nella vita di Ariel Sharon si scoprirebbero molto più cose e la critica o l'apprezzamento sarebbero sicuramente più interessanti. Egli era certamente una miscela esplosiva di indisciplina e spregiudicatezza, che a tratti sfiorava la pura violenza e lo trasformava in un essere spietato. Tutte caratteristiche che lo portarono a commettere numerosi errori e veri e propri crimini, come nel caso dell’unità 101, della battaglia di Milta nel 1956 e dei tristemente noti massacri di Sabra e Chatila. Nonostante ciò, Sharon fu anche altro. Riuscì a portare il Likud (partito nazionale-liberalista e di centro destra in Israele) alla vittoria nel 1977, dimostrandosi un brillante uomo politico, radicale negli intenti e negli atti, ma comunque geniale. Ed infine, dopo una vita dedicata al combattimento su tutti i fronti, riuscì persino a pentirsi di molte delle sue azioni avviando un processo di pace e mettendo se stesso al centro dell’odio e del disprezzo degli stessi che lo avevano appoggiato nella sua ascesa a primo ministro. Insomma Ariel Sharon fu tante cose, non solo un feroce generale dell’IDF. Negarlo, pur semplificando il capo d'azione dei critici, non permette di capire, di comprendere le motivazioni nascoste dietro ai suoi gesti. Insomma inaridisce di molto la discussione e coscientemente seleziona solo alcuni degli aspetti di un personaggio storico. E' come decidere di aprire o chiudere un occhio, anzi che due su una faccenda che per essere compresa talvolta richiede l'utilizzo di paio di occhiali e magari anche di un terzo occhio. 

Contestualizzazione. I massacri di Sabra e Chatila, che in questi giorni sono stati citati a macchinetta, per giustificare il disprezzo nei confronti dell’ex primo ministro, perdono tutta la loro carica contestatrice se decontestualizzati dalla più generale storia del Libano e della sua guerra. Infatti se uno provasse ad avventurarsi nella storia di tale conflitto, comprenderebbe che in realtà non esistono vincitori e vinti, non ci sono vittime e carnefici, non vi è alcun buono o cattivo. Come in tutte le guerre, quella del paese dei cedri è stata sanguinosa, dolorosa, distruttiva e tanto altro ancora per tutti coloro che vi hanno partecipato. Cristiani, mussulmani ed ebrei hanno pianto sulla lapidi dei loro figli, chiedendosi continuamente "perchè?". Più di tutto però, in una guerra non c'è mai chi ha più colpe e chi ne ha meno. Tutti hanno diversi peccati da farsi perdonare, l’OLP di Arafat, l’IDF di Sharon, e anche le falangi cristiano maronite di Bashir Gemayel. Tutti si sono macchiati di crimini gravissimi e tutti si sono immersi nelle pozze piene del sangue di coloro che loro definivano "nemici", nel nome di un conflitto le cui radici si erano ormai perse nel tempo. E non servirebbe a nulla provare a fare qualche trucco di magia storica, cercando nel passato più antico le risposte alle domande tipiche di un conflitto: "chi ha iniziato?", "chi è stato il primo?". Tentare la ruota della storia, alla ricerca dell’inizio di tutti i conflitti e dei loro mandanti, non porterebbe a nessun risultato se non all'inasprimento dell'odio già presente. L'unica soluzione è provare la via della contestualizzazione degli eventi e dei personaggi. Se applicata, tale tecnica aiuterebbe a capire che Sharon non è stato altro che un omicida tra gli omicidi e che l’esercito israeliano non era poi così più feroce dei seguaci dell’OLP, come ben spiegato da Robert Fisk in “Il martirio di una nazione”.  
A questo punto scegliere uno tra i litiganti è solo questione di simpatie e di preferenze politiche, nulla più. Chiunque si cimenti nell'abile tentativo di mascherare la propria decisione attraverso il richiamo a fonti selezionate ad arte e di dubbia oggettività non fa altro che ridicolizzare se stesso e mancare di rispetto a tutti i morti della guerra civile libanese. Perché decidere di parlare di Sabra e Chatila e non di tutte le incursioni dei palestinesi e delle relative carneficine compiute dal 26 dicembre del 1968 al 11 marzo del 1978 è solo una scelta personale e niente di più.

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