La morte del “Re d’Israele” ha colto di sorpresa tutti, in maniera
diversa a seconda della propria fede, nazionalità e schieramento politico. Ecco
cosa ne penso.
La morte di Ariel Sharon, sopraggiunta un paio di giorni
fa dopo otto anni di coma, è una di quelle notizie che mi stuzzicano tanto, ma
che mi preoccupa trattare. Soprattutto a causa del delicato e complesso mondo all'interno del quale tale informazione è inserita. Tuttavia dopo aver letto
molti stati su diversi social network ho deciso di spingermi oltre il semplice
commento. C’era chi applaudiva la dipartita dell’anziano leader e chi invece si
rattristava al solo pensiero che il Re d’Israele, come veniva chiamato, non ci
fosse più. Fino a qui nulla di straordinario.
Insomma
Sharon fu un uomo politico forte e deciso e come tutte le cose forti e
decise attirò a sé, da un lato il disappunto di chi non condivideva il suo
operato e dall'altro l’ammirazione di chi invece era in totale accordo con lui.
Personalmente non riesco a essere così tagliente e sentenzioso riguardo un tale
avvenimento, in particolare perché Sharon è riuscito, nel bene e nel male, a
fare la storia di uno dei più discussi Stati del mondo. Questo però non vuol dire
che io non abbia una mia opinione, solo che preferisco darle un background culturale, una sorta di base ideologica che per lo meno ammetto di avere. Vengo
da una famiglia cristiano maronita libanese, mio padre combatte durante tutta
la guerra civile che coinvolse il mio paese dal 1975 alla fine degli anni ’80 e
mia madre, beh, lei fece ciò che poteva, cioè restare in vita. Io sono nato in
Italia ed ho sempre vissuto qui, ma l’influenza dei miei e della loro cultura è
molto forte in me e spesso e volentieri mi spinge oltre il normale ragionamento all'occidentale, indipendentemente che questo piaccia o no. Quindi una notizia
come la dipartita di un uomo che, in un modo o nell'altro, partecipò alla costruzione e alla disfatta del mio paese e
del gruppo politico religioso di cui indirettamente faccio parte, non può che
suscitare in me emozioni ed idee contrastanti. Ciò nonostante vorrei procedere
con ordine ed approfondire un paio di punti.
Etichettare. Innanzitutto credo che sia sbagliato etichettare Ariel
Sharon come un omicida ed un dittatore spietato. Voglio
dire, non stiamo parlando di un Hitler o di uno Stalin moderno e non solo
perché a proteggerlo ci sia lo stato d’Israele ed indirettamente gli Stati
Uniti, cioè paesi tendenzialmente democratici. Ma anche e soprattutto perché lo
scenario mediorientale, nel quale personaggi come quello citato si sono trovati
ad operare, è così complesso e particolare che mal si presta ad etichettature
di alcun tipo. Ridurre ai minimi termini l’esistenza di un personaggio storico
fa comodo a coloro che, infischiandosene dei contenuti, puntano ad un facile
consenso, infiocchettando il tutto con un titolo pieno di ideologia e
qualunquismo, ma poverissimo di realtà. Se invece si facesse lo sforzo di scavare un po' più a fondo nella vita di Ariel Sharon si scoprirebbero molto più cose e la critica o l'apprezzamento sarebbero sicuramente più interessanti. Egli era certamente una
miscela esplosiva di indisciplina e spregiudicatezza, che a tratti sfiorava la
pura violenza e lo trasformava in un essere spietato. Tutte caratteristiche che
lo portarono a commettere numerosi errori e veri e propri crimini, come nel
caso dell’unità 101, della battaglia di Milta nel 1956 e dei tristemente noti
massacri di Sabra e Chatila. Nonostante ciò, Sharon fu anche altro. Riuscì a
portare il Likud (partito nazionale-liberalista e di centro destra in Israele)
alla vittoria nel 1977, dimostrandosi un brillante uomo politico, radicale
negli intenti e negli atti, ma comunque geniale. Ed infine, dopo una vita
dedicata al combattimento su tutti i fronti, riuscì persino a pentirsi di molte
delle sue azioni avviando un processo di pace e mettendo se stesso al centro
dell’odio e del disprezzo degli stessi che lo avevano appoggiato nella sua
ascesa a primo ministro. Insomma Ariel Sharon fu tante cose, non solo un feroce
generale dell’IDF. Negarlo, pur semplificando il capo d'azione dei critici, non permette di capire, di comprendere le
motivazioni nascoste dietro ai suoi gesti. Insomma inaridisce di molto la discussione e coscientemente seleziona solo alcuni degli aspetti di un personaggio storico. E' come decidere di aprire o chiudere un occhio, anzi che due su una faccenda che per essere compresa talvolta richiede l'utilizzo di paio di occhiali e magari anche di un terzo occhio.
Contestualizzazione. I
massacri di Sabra e Chatila, che in questi giorni sono stati citati a
macchinetta, per giustificare il disprezzo nei confronti dell’ex primo
ministro, perdono tutta la loro carica contestatrice se decontestualizzati dalla
più generale storia del Libano e della sua guerra. Infatti se uno provasse ad
avventurarsi nella storia di tale conflitto, comprenderebbe che in realtà non
esistono vincitori e vinti, non ci sono vittime e carnefici, non vi è alcun
buono o cattivo. Come in tutte le guerre, quella del paese dei cedri è stata
sanguinosa, dolorosa, distruttiva e tanto altro ancora per tutti coloro che vi hanno partecipato. Cristiani, mussulmani ed ebrei hanno pianto sulla lapidi dei loro figli, chiedendosi continuamente "perchè?". Più di tutto però, in una guerra non c'è mai chi ha più colpe e chi ne ha meno. Tutti hanno diversi peccati da farsi perdonare, l’OLP di Arafat, l’IDF di Sharon, e anche le falangi
cristiano maronite di Bashir Gemayel. Tutti si sono macchiati di crimini gravissimi e tutti si sono immersi nelle pozze piene del sangue di coloro che loro definivano "nemici", nel nome di un conflitto
le cui radici si erano ormai perse nel tempo. E non servirebbe a nulla provare
a fare qualche trucco di magia storica, cercando nel passato più antico le risposte alle domande tipiche di un conflitto: "chi ha iniziato?", "chi è stato il primo?". Tentare la ruota della storia, alla ricerca dell’inizio di
tutti i conflitti e dei loro mandanti, non porterebbe a nessun risultato se non all'inasprimento dell'odio già presente. L'unica soluzione è provare la via della contestualizzazione degli eventi e dei personaggi. Se applicata, tale tecnica aiuterebbe a capire che Sharon non è stato altro che un
omicida tra gli omicidi e che l’esercito israeliano non era poi così più feroce
dei seguaci dell’OLP, come ben spiegato da Robert Fisk in “Il martirio di una
nazione”.
A questo punto scegliere uno
tra i litiganti è solo questione di simpatie e di preferenze politiche, nulla più.
Chiunque si cimenti nell'abile tentativo di mascherare la propria decisione attraverso il richiamo a fonti selezionate ad arte e di dubbia oggettività
non fa altro che ridicolizzare se stesso e mancare di rispetto a tutti i morti
della guerra civile libanese. Perché decidere di parlare di Sabra e Chatila e
non di tutte le incursioni dei palestinesi e delle relative carneficine compiute dal 26 dicembre del 1968 al 11 marzo del 1978 è solo una scelta
personale e niente di più.
Nessun commento:
Posta un commento