Talvolta ci si spinge troppo in là con i paragoni, solo per fare
notizia e scalpore. Ma davvero la rabbia può accomunare le proteste delle due
sponde del mediterraneo o di altre aree geografiche?
Spesso
e volentieri ci si spinge oltre nel paragonare cose troppo diverse tra loro. La protesta del movimento del 9 dicembre è
solo una tra le tante che hanno, e che continuano, a caratterizzare il mondo
dei favolosi anni 2000. Eppure continua ad essere accostata a tumulti e
insurrezioni diversissimi tra loro, nel disperato e mal riuscito tentativo di
comprenderne le origini e le finalità. Come se paragonare bianco e nero
servisse a qualcosa per comprendere cos’è e da dove viene il giallo. Le
sommosse e le piazze si riempiono con cadenze quasi regolari da nord a sud, da
est a ovest senza distinzioni, ma per i motivi più vari. E non sono solo i
paesi occidentali, o moderni che dir si voglia, a rendersi protagonisti. Come
si può non tenere conto della primavera araba che ha coinvolto tutto il mondo
medio orientale? Un avvenimento così imponente e fondamentale da segnare il
proprio tempo in maniera più che incisiva.
Le
rivolte nel nord Africa hanno portato alla caduta dei dittatori, che da troppi
anni gestivano il proprio paese come se fosse il loro giardino. In Siria poi, la rivolta si è trasformata
prima in sommossa violenta ed infine in una guerra civile che non riesce a
placarsi. Insomma non solo l'Italia, ma il mondo intero è scosso da ogni sorta
di movimento e insurrezione che, nella maggior parte dei casi, si portano
dietro richieste non molto precise ed eterogenee tra loro. Un po' come quelle
proposte dal movimento dei così detti "Forconi". Quindi esiste un
qualche collegamento tra il movimento, tipicamente italiano, e le sommosse
degli altri paesi ed in particolare con la primavera araba? In altre parole, le
rivolte sono tutte uguali purché siano guidate dalla rabbia verso le
istituzioni ed il potere oppure cambiano col mutare degli scenari e dei
contesti nei quali sono inserite?
Cominciamo facendo un po' d’ordine. La rivolta dei popoli del medio oriente è stata guidata da una richiesta ben precisa: voglia di democrazia e libertà. Il popolo chiedeva di poter uscire, dopo anni di angherie e soprusi, da una situazione di dittatura, di assenza di diritti civili e, in taluni casi, da una completa mancanza dei più fondamentali diritti umani. In paesi come l'Egitto, la Tunisia e la Libia, non esistevano la libertà di stampa, di pensiero e di parola. E chi incautamente tentava di rompere le catene dell'anti-libertà pagava la propria audacia a caro prezzo. In Italia invece, nonostante la crisi, il numero di poveri in aumento, la disoccupazione galoppante e le tasse che non accenno a diminuire, non si può, con tutta onestà, affermare di vivere in uno stato di polizia perenne. In altre parole la democrazia italiana soffre, e pure tanto, ma non è ancora morta. Certo la situazione non è delle più rosee e per certi versi può essere paragonata a quella pre-primavera nei paesi mediorientali, ma le finalità della lotta e le modalità sono radicalmente diverse. I ragazzi di piazza Tahrir lottano per il diritto di critica, per la libertà di dissentire e di cambiare opinione, lottano per un concetto democratico di paese e sono pronti a morire per questo. I ragazzi di piazza castello lottano invece per la mancanza di lavoro, per l'assenza di un futuro economico solido e per l'assenza di risposte concrete dal mondo della politica. La richiesta di maggiore democrazia è solo un effetto collaterale, successivo alla richiesta di tornare alla ricchezza che caratterizzava gli anni pre-crisi.
Mondi diversi, gioventù diverse,
problematiche diametralmente opposte e che, pur forzandole, non possono stare
in rima, non nello stesso sonetto della contestazione.
Un secondo punto da sottolineare riguarda il contesto storico-sociale, passato e presente. Il mondo occidentale in generale è caratterizzato da una società estremamente complessa, ricca e super variegata. Che a partire dagli anni '90 in poi, con l'avvento della globalizzazione, ha spezzato la vecchia logica partitica, basata su formazioni politiche che raggruppavano interessi e valori ben precisi, incarnati inoltre da un ceto sociale chiaramente definito. La società di oggi al contrario è quella che si è resa protagonista della non meglio definita "morte degli ideali". Concetti come religione, famiglia e politica, un tempo pilastri fondanti, oggi invece si incamminano sulla via del tramonto. E’ quindi possibile assistere alla vincita del qualunquismo e del generalismo dilagante che danno vita a slogan (più che ben voluti) del tipo "né di destra né di sinistra", esaltando, tra le altre cose, una nuova forma di cittadinanza e di nazionalismo, concetti che fino a poco tempo fa erano considerati più legati allo sport che alla politica.
La
società del mondo arabo invece, coltiva ancora dentro di sé un sistema di
valori ed interessi fortemente clientelare, particolarista e molto legato alle
passate tradizioni. La
cultura dei luoghi e delle origini così come la religione giocano un ruolo
vitale nella costruzione delle identità dei singoli. Inoltre contribuiscono
enormemente nella fondazione delle appartenenze collettive. Prima
dell'affermazione politica del singolo si assiste all'accettazione del codice
morale, etico e religioso del proprio gruppo. Proprio quest’ultimo tende a
soffocare il forte individualismo, l’appartenenza ad un insieme di individui
rende il singolo così legato alla comunità da non sentire il bisogno di
esprimersi in quanto singolo. Tutto ciò modifica radicalmente la partecipazione
politica, perché il singolo si esprime negli stessi modi e linguaggi tipici
della propria comunità. Infatti più che di partecipazione sarebbe più corretto
parlare di devozione.
Inoltre nei paesi medio orientali lo
stesso concetto di politica è ben diverso da quello prettamente occidentale. In
questi paesi infatti non si è assistito alla nascita e allo sviluppo di
concetti come lotta di classe, liberalismo, socialismo etc... Anzi, ad
eccezione dell'Egitto nasseriano dei primi anni 70, i più semplici concetti di
nazione e stato non subiscono alcun processo s’integrazione. Il nazionalismo
stesso non esiste, viene letteralmente sacrificato in favore di un concetto
molto più complesso e particolare come quello del patriottismo delle comunità.
Concludendo,
davvero forconi e primavere non possono essere confrontati?
Davvero ogni rivoluzione è diversa dalle altre? Non c’è proprio nulla che le
accomuna? Logicamente dei punti comuni a tutte le insurrezioni esistono. Si
possono paragonare modi, linguaggi ed alcune richieste, ma è tutto lo sfondo a
mutare. Uno slogan urlato in piazza castello può lessicalmente parlando essere
simile, o addirittura identico, ad uno scandito in piazza Tahrir, o in
qualunque altra piazza del mondo, ma è la sua interpretazione a cambiare. Quindi
paragonare le insurrezioni non serve a nulla se non a creare scompiglio e
aggiungere così disordine al disordine, permettendo l’affermarsi di concetti,
nati altrove e per diversi fini, in un paese che non sempre può adattarli al
proprio scenario.
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